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di Chiara Falaschi

Immaginiamo il Vaticano e anche quell’angolo di Bruxelles in cui si concentrano i palazzi delle principali istituzioni dell’Unione europea. Facciamo questo sforzo e forse potremmo avvicinarci a comprendere cosa rappresentava Campo della fiera a Orvieto per gli etruschi ormai pacificamente riconosciuto come il Fanum Voltumnae, vale a dire il santuario federale delle dodici principali città- stato etrusche, che l’autonomia politica ancora oggi inseguita più da Umberto Bossi che da Matteo Salvini la sperimentavano già più di 2.500 anni fa.
Nell’attuale Umbria, dunque, trova sede quella che, sempre proseguendo con le semplificazioni, può essere considerata la capitale religiosa e istituzionale degli etruschi. Un luogo ricercato dal XV secolo, ma mai localizzato e per questo al centro di una fascinazione che ha resistito per secoli fino ai primissimi anni del secondo millennio, quando la prof Simonetta Stopponi ha iniziato a scavare in quell’area pianeggiante visibile dalla Rupe di Orvieto, da cui anno dopo anno è riaffiorato il santuario federale degli Etruschi, “il luogo celeste”.
Un’indagine archeologica, quella dell’appassionata accademica, tuttora in corso, ma che negli ultimi 22 anni ha permesso di investigare un’area di circa cinque ettari che ha restituito non solo la Via Sacra, larga oltre 10 metri e risalente al IV secolo ac, che attraversa il santuario di Campo della Fiera, ma anche i resti di sei strutture che si sviluppano intorno al tracciato, oltre a una fontana monumentale, bronzetti e numerose basi su cui erano collocate le statue depredate dai romani.

Al Fanum Voltumnae fanno riferimento molti autori antichi, in modo particolare Tito Livio, eppure nessuno di loro ha mai avuto l’accortezza di indicarne la collocazione, «per lo stesso motivo per cui oggi nessuno preciserebbe che il Vaticano si trova a Roma, semplicemente perché è un’informazione nota a chiunque» spiega Stopponi, aggiungendo: «Del Fanum sappiamo che annualmente ospitava le riunioni dei rappresentanti delle dodici principali città-stato, che coincidevano con cerimonie religiose, perché gli incontri dovevano naturalmente svolgersi sotto la protezione di una divinità. Qui – va avanti la prof – si facevano mercati, fiere, spettacoli, si prendevano decisioni comuni, anche di politica estera, come quando si discusse, senza poi concederlo, l’eventuale aiuto all’antica città di Veio (i cui resti si trovano in prossimità del Borgo di Isola Farnese, ndr) assediata dai romani». 


Gli etruschi non soccorsero Veio e i romani la conquistarono come fecero nel 264 ac con Volsinii, cioè Orvieto, saccheggiandola delle circa 2 mila statue di bronzo. A quantificare il tesoro di Campo della Fiera, secondo Stopponi «certamente esagerando», è Plinio il Vecchio che sul punto cita Metrodoro di Scepsi, un autore nemico di Roma. Il numero di statue, per quanto con ogni probabilità sovrastimato, ha comunque fornito un ulteriore elemento per ipotizzare nella prima fase la collocazione del Fanum a Orvieto. Tuttavia, l’indizio forse più significativo lo ha involontariamente consegnato un orvietano che, nel 1876, durante uno scavo, trovò decorazioni templari in terracotta tipiche degli edifici sacri etruschi, oggi in mano al Pergamon museum di Berlino. 


Ed è da questa serie di elementi, uniti al Rescritto di Spello, che la prof Stopponi si è convinta che il Fanum Voltumnae non poteva che trovarsi a Orvieto riuscendo, anno dopo anno e con l’aiuto di generazioni di studenti di archeologia provenienti da mezzo mondo, a recuperarne i resti e a dimostrare che il santuario federale degli etruschi sorgeva a Campo della fiera, un’area che vive dal VI ac e che tra questo secolo e l’inizio del successivo si ritiene abbia attraversato il periodo di massimo splendore, pur mantenendo la propria funzione anche dopo la conquista da parte dei Romani e ancora con l’avvento del Cristianesimo e fino al Medioevo. 

Una lunga storia, questa del “luogo celeste”, che ha reso sempre complessi gli scavi archeologici, che negli anni hanno anche restituito una domus romana dotata di impianti termali e splendidi mosaici risalenti al I e al III dc, mentre più recentemente, ovvero l’agosto scorso, gli scavi in un pozzo profondo poco più di 8 metri hanno permesso di riportare alla luce circa 300 maioliche risalenti a un periodo compreso tra il XIII e il XVI secolo, tra cui spicca la fiaschetta di un pellegrino della metà del Duecento. Lo sforzo della prof Stopponi, apprezzato a livello internazionale, tanto che nel 2019 il Museo nazionale del Lussemburgo ha ospitato una mostra, riprenderà la prossima estate, sempre con l’aiuto della Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto.
Resta forte, infatti, la convinzione che il santuario federale delle dodici città-stato etrusche possa ancora riservare scoperte di enorme valore, tanto più in questa fase segnata dagli eccezionali rinvenimenti di San Casciano (Siena), che hanno ridato slancio all’interesse dell’opinione pubblica sulla civiltà etrusca. E forse, come nel borgo termale a pochi chilometri dal confine umbro, anche a Campo della Fiera servirebbe uno sforzo del Mibac per “musealizzare” il sito archeologico.