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di C.F.

Un calo verticale delle tessere, che secondo alcuni avrebbe più che dimezzato i sostenitori contati ai tempi della vittoria delle Regionali. Luci spente in una sfilza di sedi, con il rischio di chiudere bottega perfino a Foligno. E una classe dirigente locale decapitata sul nascere a colpi di espulsioni o fuoriuscite considerate forzate. È una Lega malconcia quella che in Umbria (7,75 per cento alla Camera), più che nel resto d’Italia (8,77 per cento alla Camera), è stata tramortita dalle ultime Politiche. Matteo Salvini e il luogotenente Virginio Caparvi qui hanno lasciato sul campo più 100 mila voti in tre anni: nel 2019, per la presa di Palazzo Donini, gli umbri che hanno barrato Alberto da Giussano sono stati 154 mila, mentre lo scorso 25 settembre non si è riusciti a superare la soglia dei 34 mila.
Cosa è successo, dunque, al partito del “capitano” in Umbria? Di certo tanti sostenitori sono usciti di scena silenziosamente facendo molto meno rumore dei numerosi militanti che hanno abbandonato Caparvi sbattendo la porta dal febbraio 2019 in avanti. I numeri esatti sono e probabilmente resteranno un tabù, ma secondo alcune stime giudicate molto verosimili da più parti, tutte comunque interne o vicine al partito, si è passati negli ultimi tre anni da circa 2.500 sostenitori ad appena un migliaio, mentre di militanti nell’intera Umbria ne sarebbero rimasti poco più di trecento, anche se molti giudicano la cifra perfino sovrastimata, perché a Perugia sono appena 30. A bussare a varie porte, tra consiglieri comunali, provinciali e regionali, il refrain è quello del consenso liquido («è stato così anche per Renzi e Grillo» dicono), del calo fisiologico e delle difficoltà di governo nei territori tra pandemia e inflazione. Il dito, insomma, è puntato altrove, anziché in casa propria, dove prima dell’emorragia elettorale si è consumata quella dei militanti e degli eletti.
Il primo a mollare la Lega è stato a febbraio 2019 il consigliere all’epoca sia regionale che e comunale di Terni Emanuele Fiorini, una delle colonne portanti del partito, che senza difficoltà sentenziò: «Il partito ha cambiato pelle». Otto mesi dopo, ovvero a poche settimane dalla prevedibile vittoria del centrodestra in Regione, se ne è andato anche uno dei primi leghisti umbri, Marcello Rigucci, pure lui lanciando strali contro i vertici del partito, che non lo hanno candidato alle regionali.
Gli smottamenti, poi, sono diventati valanga tra il 2020 e il 2022: un attimo prima del lockdown cede Stefano Olimpieri di Orvieto, che a meno di sei mesi dal clamoroso risultato delle Regionali, quando cioè l’entusiasmo avrebbe dovuto essere alle stelle, parla di «cerchio magico» all’interno del partito umbro, pone «questioni di metodo» sulla scelta dei candidati, e avverte che far correre alle suppletive per il Senato (seggio Tesei) un consigliere regionale (Valeria Alessandrini) significa «riflettere un mondo chiuso» e «non dare all’esterno la visione di un partito che cerca di crescere». Una specie di profezia quella di Olimpieri, che ha poi innescato una valanga durata due anni, scandita da casi anche clamorosi, come quello del luglio 2021 del vicesindaco di Todi, Adriano Ruspolini, che ha così iniziato la propria lettera di addio: «All’obbedienza cieca pretesa dal livello regionale del partito, preferisco la lealtà assoluta nei confronti dei cittadini». Le fuoriuscite forzate non hanno risparmiato il consiglio regionale, dove ad abbondare il gruppo della Lega è stata Francesca Peppucci, né i consigli comunali di Perugia (Daniela Casaccia e Alessio Fioroni) e Foligno (Domenico Lini, Caterina Lucangeli e Michele Bortoletti). La Lega, infine, non è rimasta immune alla giostra dei cambi di casacca della massima assise di Terni.
Al lungo elenco delle fuoriuscite forzate si somma anche qualche espulsione. Se i casi più clamorosi sono quelli dell’assessore regionale Enrico Melasecche, poi rientrato nei ranghi con le dimissioni da consigliere regionale, e quello in corso con l’ex senatore Luca Briziarelli, i cartellini rossi che hanno fatto scuola tra i leghisti dell’Umbria sono quelli di Spoleto dove con un colpo sono stati messi alla porta due ex assessori, Francesco Flavoni e Maria Rita Zengoni, il presidente del consiglio comunale, Sandro Cretoni, e un paio di consiglieri rei di aver sostenuto il sindaco Umberto De Augustinis nella battaglia a difesa dell’ospedale contro Tesei.
La decapitazione di un pezzo di classe dirigente, ovviamente, fa il paio con lo sfaldamento delle sezioni. Il caso più eclatante a Corciano dove, pure qui dopo un paio di dimissioni, è stato chiesto lo scioglimento. M molte sono le sezioni ridotte all’ombra di se stesse, da Todi alla Valnerina, passando per Perugia, Terni e Spoleto, mentre a resistere davvero è soltanto l’Alto Tevere. Da qui la decisione annunciata di chiudere una dozzina di sedi, forse di più, lasciando aperte soltanto quelle di Perugia, Terni, Città di Castello, Umbertide e forse Foligno, che non è chiaro se sarà salvata.
Tutti quelli che hanno lasciato lo hanno fatto contestando la dirigenza regionale, in mano al segretario Virginio Caparvi, lamentando l’assenza totale di ascolto e confronto. Qualcuno per spiegarsi meglio cita inaspettatamente “Il Portaborse” un film con Silvio Orlando e Nanni Moretti: «Adesso ho capito che lei nella sua vita si comporta come quei signori feudali il cui unico scopo era estendere il proprio dominio, spesso a prezzo di guerre sanguinose».