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di Gabriella Mecucci

Sono nati in un paesino sconosciuto, dal nome quasi impronunciabile, Monterubiaglio: poche centinaia di anime, una decina di chilometri da Orvieto. Sulle colline umbre al confine col Lazio, il padre – Domenico Cotarella – coltivava già nel dopoguerra i suoi vigneti. Buon vino, discreti affari e la nascita di due figli: Riccardo e Renzo. I due crescono in campagna e restano legati ai loro luoghi d’origine. Non li abbandoneranno mai anche quando diventeranno i “re del vino”, quando saranno gli enologi dei vip: da Sting a D’Alema e forse Putin – la loro vicinanza al Cremlino è stata oggetto di un lungo e dettagliato articolo del Corriere della Sera. E sempre su quelle terre pianteranno di continuo nuove vigne e costruiranno le loro cantine.
Riccardo è il primogenito, cresce in paese dove organizza scorribande di branco coi coetanei. Sogna una carriera da ingegnere, ma gli basterebbe fermarsi a geometra. Tutto, meno che occuparsi di viti e di vino. Il padre Domenico però, e per fortuna, non è d’accordo. Vuole che diventi enologo e che prosegua l’attività che lui ha iniziato: “O fai come dico io o vai a lavorare in campagna”: è questo il secco aut aut a cui si trova di fronte Riccardo. La spunta il padre e il ragazzo va alla scuola di Conegliano Veneto. Nel 1968, quando impazza la contestazione, si diploma. Il primo lavoro è col Conte Vassali, un’azienda orvietana che produce del buon Cabernet Sauvignon. Poi la doppia svolta: crea col fratello l’azienda vitivinicola Falesco (1979) e due anni dopo la Riccardo Cotarella s.r.l. Da lì il decollo. Il fratello Renzo nel frattempo, ha cominciato a lavorare nientemeno che con gli Antinori: quelli che producono i vini di Bolgheri, vedi l’indimenticabile Sassicaia.
Successo dopo successo, uno dietro l’altro piovono i riconoscimenti da tutto il mondo, e in particolare dagli Usa. Riccardo diventa presidente degli enologi italiani e poi copresidente a livello internazionale. Non c’è capitale che non lo inviti, non c’è Università che non ambisca ad una sua lezione. Intanto lui insegna all’ateneo di Viterbo, facoltà di Agraria, corso di laurea in Enologia. La cultura lo affascina: le sue aziende la promuovono. E non si stanca di ripetere che “il vino è cultura”. Che “non va bevuto, ma assaporato”. E che è molto importante che si sappia da dove viene, chi lo produce, quale storia c’è dietro quei luoghi e quelle persone. Il gusto non è solo palato, ma è anche conoscenza.
Una sensibilità questa che lo avvicina ad un altro grande imprenditore umbro: Cucinelli. L’incontro fra i due è dunque inevitabile. Per Brunello, di recente, Riccardo Cotarella crea il “Castello di Solomeo”, un rosso delle vigne intorno al “borgo dello spirito”: sei ettari in tutto per 9mila bottiglie. Presentato qualche decina di giorni fa è un blend bordolese a base di Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot – grande passione dell’enologo orvietano. Sarà un successo anche questo, c’è da giurarlo. E come potrebbe non esserlo: i due non ne sbagliano una. Figuriamoci se si mettono insieme.
Amante dello sport: dello sci, del calcio, della pesca subacquea, Riccardo Cotarella oggi – a 74 anni – ha un po’ rallentato i ritmi. Resta intatta però la passionaccia per i cavalli (ne possiede 6) con i quali va a passeggio in campagna, a controllare le sue vigne che si estendono per ettari e ettari: in tutto – dicono – 370. Ma oltre allo sport e alla cultura c’è anche il grande impegno nel sociale.
A San Patrignano dove lavora coi ragazzi che escono dalla droga: “Molti di loro – racconta – hanno le qualità per essere enologi. Infondere in loro la cultura del vino significa inoltre tenerne la mente impegnata, allontanandola da altri problemi.” Poi c’è stata la collaborazione al progetto Wine for live della Comunità di Sant’Egidio. E l’esperienza, aldifuori dei confini Italiani, a Cremisan, località fra Gerusalemme e Betlemme, dove collabora con un’azienda divisa in due dal muro eretto fra Palestina e Israele. Di questo impegno ha detto: “Non c’è premio più grande, non c’è parcella che ricompensi di più che vedere quei ragazzi palestinesi crescere, venire in Italia a studiare”. Insomma, Riccardo è un imprenditore “impegnato”, che cerca di dare una mano ai più deboli, ai più svantaggiati. Per non dire del suo aiuto alla ricerca: lavora al progetto “Vigna di Leonardo” ed è accademico dei Geogiofili.
Se il primogenito dei Cotarella è la star internazionale, non se la cava male nemmeno il fratello Renzo. Ha iniziato a lavorare ad Orvieto, e poi ha scalato, sino a raggiungerne i vertici la Antinori – importantissima azienda capace di mantenere la qualità pur producendo considerevoli quantità Disponibile e loquace, Renzo ha col vino un rapporto quasi carnale. Una volta, parlando del Barolo che vorrebbe fare, ha detto che dovrebbe assomigliare per eleganza alla Caterine Deneuve dei tempi migliori, ma un po’ meno austera e con qualche chiletto in più.
I Cotarella non si fermano mai, non interrompono la loro galoppata alla conquista della fama mondiale e dei mercati: la loro azienda di recente è risultata essere fra le dieci più redditizie fra i produttori italiani di vino. E da qualche anno è scesa in campo la terza generazione. E’ rappresentata da tre donne: Dominga, figlia di Riccardo, e Marta e Enrica, figlie di Renzo. I Cotarella lavorano da sempre in famiglia: prima i due fratelli con le loro mogli ai quali di recente si è aggiunta la guida al femminile. Nell’articolo qui sotto Dominga spiega – in un’intervista concessa a Rita Boini – quanto siano legate fra di loro le tre cugine, che sono “come sorelle”. Come si siano ben inseriti nel lavoro e nelle gerarchie aziendali i loro mariti, e come tutti insieme si impegnino anche nella promozione delle attività culturali che seguono con particolare passione.
Nel 2017 il brand di riferimento e diventato “Famiglia Cotarella” che racchiude Falesco (vini della tradizione), Cotarella, Liaison (champagne) e Intrecci, scuola di formazione. L’ultima nata è la Fondazione ( 2021) che studia e promuove stili di vita sani sia nel mangiare che nel bere. E il progetto continua a crescere e ad occupare aree di ricerca sempre più vaste.
Dalle tre “sisters “è già nata una quarta generazione. E – se buon sangue non mente -almeno qualcuno di loro sarà un discepolo di Bacco. La Cotarella story si allungherà ulteriormente mentre in Umbria l’intera “aristocrazia del vino” cresce facendo della regione sempre più un wine shire.